10 Marzo 2025
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C’è un momento nel percorso di ogni psicoterapeuta in cui la magia della terapia si manifesta in modo inaspettato, quando diventa una terapia al contrario.
Per me è accaduto in maniera lampante anni fa, durante una seduta con Chiara, una talentuosa artista che non aveva il coraggio di mostrare le sue opere al pubblico.
“Dipingo da quando avevo cinque anni,” mi raccontava con voce tremante mostrandomi sul suo pc delle fotografie di quadri di una bellezza sorprendente: paesaggi avvolti in una luce soffusa, ritratti che sembravano catturare le anime dei soggetti, nature morte che trasformavano oggetti ordinari in poesia.
“Eppure non ho mai fatto una mostra, non ho mai venduto nulla, nemmeno condiviso online” continuò. “Ho il garage pieno di tele che nessuno ha mai visto.”
Quando le chiesi cosa la tratteneva, Chiara abbassò lo sguardo.
“Ho paura di non essere all’altezza. Vedo artisti che espongono opere tecnicamente inferiori alle mie e ricevono apprezzamenti, ma io… continuo a pensare che non sia abbastanza. E se la gente pensasse che sono presuntuosa? Se i veri critici ridessero del mio lavoro? Se scoprissi che quello che ai miei occhi sembra talento è solo mediocrità?”
Mentre la ascoltavo, sentii una strana sensazione allo stomaco, un misto di riconoscimento e disagio. Sul mio computer c’erano decine di bozze di articoli divulgativi, idee per video, appunti per potenziali libri che non avevo mai avuto il coraggio di condividere.
Avevo le competenze, avevo studiato, avevo idee su come rendere la psicologia più accessibile.
Eppure qualcosa mi tratteneva. La paura del giudizio dei colleghi più affermati. Il timore che semplificare concetti complessi potesse essere visto come un impoverimento. L’ansia che espormi pubblicamente potesse danneggiare la mia credibilità professionale.
“E se invece il tuo vero dovere fosse proprio quello di condividere il tuo talento?” chiesi a Chiara, realizzando che stavo in realtà parlando anche a me stesso. “E se tenere per te questi quadri fosse una forma di egoismo e non di modestia?”
In quel momento, attraverso Chiara, ho compreso che stavo vivendo la mia professione in una zona di comfort che non mi permetteva di essere d’aiuto quanto avrei potuto e desiderato. Stavo servendo bene i miei pazienti, certo, ma quante altre persone avrebbero potuto beneficiare della psicologia se solo avessi avuto il coraggio di portarla fuori dalle quattro mura del mio studio?
Sono grato ai miei pazienti per avermi permesso di entrare nelle loro vite. Perché mentre pensavano che fossi io ad aiutarli, non sapevano che erano anche loro ad insegnarmi qualcosa.
La terapia al contrario: quando il terapeuta diventa narratore
Quella conversazione con Chiara fu un punto di svolta per me. Presi coraggio e decisi di uscire dalla mia zona di comfort: iniziai a creare contenuti online, a scrivere articoli, a registrare video su YouTube (qui trovi il mio ultimo video). Piano piano, la mia carriera prese una direzione che non avrei mai immaginato.
Le persone iniziarono a contattarmi non solo per terapie individuali, ma anche per interventi formativi in azienda. Mi ritrovai così a parlare di psicologia davanti a platee sempre più numerose, condividendo conoscenze scientifiche e strumenti pratici con manager, team leader e professionisti di vari settori.
Ed è proprio in questi contesti aziendali che ho notato un fenomeno curioso. Inizialmente, i miei interventi erano ricchi di contenuti teorici, riferimenti scientifici, modelli concettuali… tutti elementi fondamentali per dare solidità al mio messaggio, ma qualcosa sembrava mancare nel coinvolgimento del pubblico.
Un giorno, quasi per caso, ho deciso di inserire nel mio intervento un aneddoto personale. Era una storia semplice, di come avevo affrontato una mia paura irrazionale. Non era niente di eccezionale, eppure al termine dell’evento notai qualcosa di diverso negli occhi delle persone che venivano a salutarmi.
“La sua storia mi ha fatto capire che non sono solo,” mi disse un manager. “Vedo la mia situazione con occhi nuovi ora.”
In quel momento ho compreso che stava accadendo qualcosa di simile a ciò che sperimentavo nelle sedute di terapia, ma a parti invertite. Non era più il paziente a rivelarsi al terapeuta, ma il terapeuta a condividere parti di sé con gli altri: la famosa terapia al contrario di cui ti parlavo prima.
E l’effetto era sorprendente.
Più incorporavo storie personali nei miei interventi, più vedevo i volti illuminarsi di comprensione. Non erano le teorie a toccare le persone, ma le esperienze condivise. Le vulnerabilità rivelate. Le battaglie raccontate.
Ho iniziato a osservare un pattern: quando raccontavo una mia esperienza personale, le persone non stavano semplicemente ascoltando – stavano vedendo loro stesse attraverso di me. Stavano trovando risposte alle loro domande nelle mie storie, proprio come io avevo trovato risposte nelle storie dei miei pazienti.
La nascita di “Terapia al Contrario”
Una volta, dopo uno dei miei speech in azienda dove iniziavo a usare molto aneddoti e storie anche personali, mi sono fermato a mangiare assieme ai collaboratori dell’azienda che mi aveva chiamato a parlare. Seduto al tavolo affianco a me un signore mi disse: “Ci hai fatto una bella terapia al contrario oggi!”
Quella frase mi colpì profondamente. “Terapia al contrario”. Era esattamente quello che stava accadendo: una inversione dei ruoli tradizionali, dove era il “terapeuta” a condividere esperienze e il “paziente” ad ascoltare e trarne insegnamenti.
Tre parole che sintetizzavano perfettamente ciò che stavo sperimentando.
Terapia al contrario.
È nato così l’esperimento che ho chiamato, appunto, “Terapia al Contrario”. Mi sono chiesto: cosa succederebbe se spingessimo un po’ oltre questa inversione di ruoli? Se fosse lo psicologo a parlare e a raccontare alcuni frammenti della sua vita, e il pubblico ad ascoltare e trarne insegnamenti?
Non per narcisismo o autocompiacimento, ma con l’intenzione di fare ciò che ogni buona terapia dovrebbe fare: illuminare angoli bui, trovare connessioni, generare insight.
Ovviamente, non parlo di psicoterapia in senso clinico o di un sostituto di un percorso terapeutico tradizionale.
È piuttosto un modo diverso di condividere la psicologia, capace di innescare processi di consapevolezza e cambiamento sorprendentemente profondi. È un’esperienza che si colloca a metà strada tra la divulgazione, la narrazione autobiografica e la crescita personale, ma con un potenziale trasformativo che talvolta mi ha stupito per la sua intensità.
Perché la verità è che nella vita siamo tutti terapeuti e pazienti. Tutti abbiamo qualcosa da insegnare e molto da imparare. E forse, la guarigione non avviene solo quando parliamo, ma anche quando ascoltiamo la storia giusta al momento giusto.
Così ho deciso di portare sul palco teatrale quello che funzionava così bene nelle aziende, rendendo questo esperimento accessibile a un pubblico più ampio.
In “Terapia al Contrario”, ripercorro il mio cammino professionale attraverso quattro fasi della mia vita: dagli inizi come psicologo nei campi rom, dove ho imparato l’umiltà dell’ascolto autentico; alla mia evoluzione come divulgatore su YouTube, dove ho scoperto il potere della condivisione; passando per la psicoterapia clinica dove ho toccato con mano la fragilità umana; fino alla mia attuale veste di imprenditore, dove ho compreso che creare valore per gli altri è la più grande fonte di felicità.
Non racconterò teorie o tecniche astratte.
Racconterò storie vere, momenti di crescita, errori commessi, lezioni apprese. Parlerò di quando ho avuto paura e di come l’ho affrontata.
Di quando ho fallito e di come mi sono rialzato.
Di quando ho scoperto che la psicologia non è solo una scienza, ma un modo di stare al mondo.
“Terapia al Contrario” sarà in scena a Monza al Teatro Villoresi (p.s. è quasi sold out) il 16 maggio, a Torino al Teatro Gioiello il 21 maggio e a Firenze al Teatro Puccini il 24 maggio.
Il tuo biglietto ti sta aspettando qui: https://www.ticketone.it/artist/luca-mazzucchelli/
Ti invito a venire e a portare anche parenti o amici a questo esperimento che ti garantisco sarà molto bello e ricco di spunti pratici per tutti quanti.
Non aspettarti una conferenza tradizionale o uno spettacolo convenzionale.
Aspettati piuttosto una seduta di terapia serale in cui, per una volta, sarò io a mettermi sul lettino. E chissà che, nell’ascoltare le mie storie, tu non finisca per scoprire qualcosa anche su te stesso.
Perché in fondo, non è questo il vero potere di ogni storia ben raccontata?
Ti aspetto a teatro, non vedo l’ora di vederti.

Brigitte
Interessante e innovativo. Auguri per l’audacia e il coraggio di esporsi.
Donatella Picasso
Che bello leggere queste parole ! Saper cogliere il momento giusto e il contenuto giusto per una condivisione da parte del terapeuta, secondo me, non può che arricchire il rapporto terapeutico e rendere i due ‘ fellow travellers’ nel ‘cammin di nostra vita’. Purtroppo penso ci siano ancora troppi veli sui giochi di potere nell’attuale contesto terapeutico per abbracciare un approccio del genere, speriamo invece si faccia sempre più spazio !
Laura Cammarata
Ciao Luca mi hai fatto voglia di venire in teatro, chissà che non possa essere occasione di una esperienza per tutta la famiglia..
Grazie per sostenerci nel cercare di essere migliori.