20 MAGGIO 2025

Amo l’arte, soprattutto quella contemporanea.

Fin da bambino, mia mamma mi portava a visitare musei durante i nostri viaggi.
Ricordo bene quelle esperienze: alcuni musei li trovavo terribilmente noiosi, con sale interminabili piene di opere che non capivo; altri invece riuscivano ad accendere la mia curiosità, a farmi fare domande, a sorprendermi.

Oggi cerco di tramandare questa buona pratica anche ai miei tre figli.
Quando viaggiamo insieme, se c’è un museo, soprattutto di arte contemporanea, ci andiamo.
Voglio che abbiano questa opportunità, sperando che in qualche modo l’arte possa parlare anche a loro, lasciare un’impronta, magari suscitare domande o riflessioni, proprio come è successo a me.

Nel corso degli anni, però, ho notato che esistono due modi fondamentalmente diversi di rapportarsi all’arte.
Ci sono opere che ci limitiamo a osservare: le guardiamo, ne apprezziamo la tecnica o la bellezza, magari le fotografiamo e poi passiamo oltre.
E poi ci sono opere che ci smuovono qualcosa dentro, che ci penetrano, che ci trasformano. 
Io la chiamo l’arte che trasforma.

Le prime restano sull’esterno, sfiorano appena la superficie della nostra percezione.
Le seconde, invece, entrano profondamente, attivano emozioni, ricordi, riflessioni. Non le guardiamo soltanto: le viviamo.

Questa differenza mi è apparsa con straordinaria chiarezza qualche giorno fa, quando al Keil Space Firenze ho avuto l’opportunità di sperimentare un approccio diverso all’arte.

Il contatto con l’arte attiva: un’esperienza trasformativa

Keil Space Firenze è sostenuto da una fondazione con un obiettivo tanto semplice quanto ambizioso: avvicinare l’arte nella sua natura trasformativa al maggior numero possibile di persone.

Per questo motivo, l’esperienza è accessibile a tutti con ingressi sponsorizzati da parte della Fondazione tramite la procedura di prenotazione: scelta che riflette la volontà di rendere accessibile a tutti un’opportunità di crescita personale attraverso l’arte che trasforma.

Ma cosa rende questo spazio così particolare?
Cosa lo distingue dalle centinaia di musei e gallerie che ho visitato nella mia vita?

Sono principalmente tre gli elementi che ne fanno un’esperienza unica e profondamente trasformativa.

La prima caratteristica sorprendente è la solitudine. Non puoi entrare in gruppo: sei tu, le opere e una guida personale.
Nessun cellulare, nessuna distrazione.

Quando visito una mostra tradizionale, per quanto possa apprezzare le opere, mi trovo in un ambiente spesso caotico.
Devo adattarmi ai ritmi degli altri, di chi mi accompagna o semplicemente di chi ho intorno.
Sono distratto dalle notifiche del telefono, dal desiderio di fotografare tutto per i social.

Qui, invece, c’è solo il presente.
Trenta minuti di connessione profonda con l’arte e con te stesso.

Il secondo elemento cruciale è la guida, una sorta di Caronte moderno che ti conduce in un viaggio non nell’aldilà, ma nelle profondità di te stesso.

Durante i 30 minuti di visita, questa figura non si limita a spiegare le opere in modo didascalico. Ti pone domande che stimolano la riflessione: “Cosa ti colpisce di ciò che vedi?”, “Quali emozioni stai provando?”, “Cosa ti comunica quest’opera?”.

Queste domande ti costringono a uno sforzo di esplorazione interiore.
Non puoi limitarti a osservare passivamente; sei invitato a guardarti dentro, a capire cosa sta accadendo nella tua interiorità e poi a condividerlo verbalmente.

Infine, ci sono le opere stesse, selezionate e collocate in uno spazio appositamente progettato per favorire questa esperienza immersiva. Le opere presenti hanno qualcosa di magico: non sono semplici oggetti statici da osservare passivamente, ma elementi che dialogano con lo spazio, con la luce, con le ombre.

Con i suoi oltre 500 metri quadrati, Keil Space Firenze è il primo spazio del XXI secolo interamente dedicato alle Arti Avanzate e le sue Applicazioni. L’iniziativa affonda le sue radici nel patrimonio culturale della Keil Foundation, fondata a Londra da Henry William Keil nel 1932 e portata avanti oggi da Sam Keil, con l’obiettivo di promuovere attività filantropiche, culturali e artistiche su scala globale.

Oltre 600 visitatori tra gli 8 e gli 85 anni hanno già varcato individualmente la soglia di Keil Space, vivendo un’esperienza multisensoriale che combina la potenza dell’arte visiva, scultorea e sonora con i cinque sensi. Qui si viene introdotti allo sviluppo artistico di Sam Keil che in oltre 40 anni di ricerca fonde scienza, filosofia e arte, attraverso lo studio del movimento avanzato ed un approccio unico alla modellazione della luce e del bronzo.

È proprio questa multidimensionalità che le rende così potenti e capaci di innescare riflessioni profonde: guardandole, mi sono ritrovato a pensare che anche noi esseri umani siamo così, fatti di materia tangibile, ma anche di ombre (le nostre paure, i nostri lati nascosti) e di luce (i nostri talenti, le nostre qualità più luminose).

Lo spazio stesso, con la sua illuminazione studiata nei minimi dettagli, amplifica questa sensazione. È un ambiente quasi onirico, che facilita l’introspezione e la riflessione, lontano dal caos luminoso e sonoro che spesso caratterizza le esposizioni più tradizionali.

L’arte che trasforma come strumento per interrogare il sé

Ciò che accade al Keil Space ha molte somiglianze con i processi che facilitiamo e incentiviamo all’interno di un percorso di psicoterapia.

Il meccanismo è simile: si crea uno spazio protetto, senza distrazioni, dove sei invitato a fermarti.
A guardare davvero ciò che hai davanti.
A prestare attenzione a come questo stimolo esterno risuona dentro di te, quali emozioni, ricordi o pensieri attiva.

E infine, a trovare le parole per esprimere questa esperienza interiore davanti a una “guida”.

È proprio questo il processo che porta alla consapevolezza: fermarsi, osservare, sentire, esprimere.
Un processo che nella frenesia della vita quotidiana raramente ci concediamo, e che invece dovrebbe essere un’abitudine preziosa.

Keil Space, con la sua struttura attentamente pensata, riproduce in qualche modo questo stesso meccanismo, usando l’arte che trasforma come stimolo, come punto di partenza per un viaggio interiore.

Dall’arte attiva, alla psicologia in movimento

Quest’esperienza ha risuonato profondamente con ciò che da anni cerco di fare nel campo della psicologia.

Nel 2012 ho iniziato a pubblicare video su YouTube, in un’epoca in cui i professionisti della salute mentale consideravano i social media come territori da evitare. Lo facevo con un obiettivo preciso: portare la psicologia fuori dagli studi privati, renderla accessibile a tutti, andare verso il bisogno invece di aspettare che fosse il bisogno a venire da me.

È questa l’idea che mi ha sempre guidato: una psicologia in movimento, che non resta confinata tra le quattro mura di uno studio professionale, ma che si fa viva, presente, disponibile laddove le persone vivono, lavorano, si incontrano.

Recentemente, ho portato questa visione ancora più avanti con uno spettacolo teatrale intitolato “Terapia al Contrario”.

Sul palco racconto la mia storia personale e professionale, ma soprattutto inverto i ruoli tradizionali: invece di ascoltare il paziente, sono io a parlare, a condividere esperienze e riflessioni.
Le persone che escono da questi spettacoli spesso mi dicono di sentirsi trasformate dall’esperienza, di aver avuto intuizioni su se stesse che non avevano mai avuto prima.

In tutto ciò che faccio – che si tratti di video, spettacoli, libri o conferenze – cerco di rendere accessibili strumenti che fino a poco tempo fa erano snobbati o considerati appannaggio esclusivo di chi aveva tanti soldi. La psicologia, come l’arte, non dovrebbe essere un privilegio per pochi, ma un’opportunità di crescita per tutti.

Ecco perché l’esperienza al Keil Space mi ha colpito profondamente: ho trovato in questo approccio all’arte lo stesso spirito che anima il mio lavoro con la psicologia.

Un’arte che trasforma, che non si accontenta di essere ammirata da lontano, ma che ti invita a entrare, a lasciarti trasformare.
Un’arte che non è passiva, ma attiva.
Un’arte che non finisce come “soprammobile”, ma diventa seme di cambiamento.

La vera sfida per l’arte, così come per la psicologia, è riuscire a trovare quel delicato equilibrio tra profondità e accessibilità.
Essere rigorosi nei contenuti ma semplici nella forma. Parlare a tutti senza banalizzare.

In fondo, non è questo il senso profondo di ogni disciplina che si occupi dell’essere umano?
Aiutarci a guardare dentro e fuori di noi con occhi nuovi, a sentire con maggiore intensità, a comprendere con maggiore profondità?

color firma digitale luca mind

Se ti ho incuriosito/a, ti lascio qui il link per scoprire qualcosa in più su Keil Space Firenze e, se ti va, prenotare la tua visita.